Filippo Dal Fiore

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I mille volti dell’apprendimento

December 7, 2011
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Seduto sull’aereo di ritorno da Boston, mi cade l’occhio sulla rivista del vicino. Si tratta di Forbes: in copertina, a tutta pagina, domina la foto commemorativa di Steve Jobs. Chiedo a prestito il giornale e scopro che ogni sua singola pagina e’ dedicata alla vita di questo grande innovatore. Ripercorro a ritroso il suo percorso lavorativo e di vita e nel farlo mi trovo a ragionare di apprendimento. Come ha fatto Jobs ad arrivare a tali imprese?

Le prime pagine sono quelle che mi colpiscono di piu’: apprendo che prima di avere successo con Apple, Jobs passa attraverso molteplici iniziative imprenditoriali senza successo. A quanto pare, Jobs e’ un curioso sperimentatore: e’ alla ricerca di situazioni non ancora codificate in cui si possa prendere carico in prima persona di una nuova sfida. Jobs viene inoltre definito unanimemente “genio”. In quanto tale, sa di esserlo e sembra fare sempre le cose di testa propria, con testardaggine e determinazione, senza ricercare i consigli di chi e’ piu’ esperto di lui. Al contrario, sembra mosso dalla volonta’ di dimostrare a tutti gli altri che alla fine ha ragione lui. Nel far questo commette molti errori, da cui, pero’, impara.

Mi concedo di avanzare una prima ipotesi rilevante per il mondo dell’apprendimento, senza pretendere di essere il primo e l’unico a teorizzarla, ne’ tanto meno di dare giudizi di merito. Da un certo punto di vista e in tutte le sfumature di grigio piuttosto che in bianco e nero, nell’universo dell’apprendimento sembrano distinguersi soggetti sperimentatori da soggetti “affiliati”. Questi ultimi preferiscono apprendere all’interno di percorsi ben codificati, facendo propri i punti di riferimento offerti da maestri, esperti, scuole di pensiero o discipline accademiche. I loro percorsi sono lineari e orientati al riconoscimento all’interno di comunita’ di persone e di valori ben definite. Per molti versi, gli affiliati vivono piu’ sereni degli sperimentatori, che invece si espongono maggiormente a quello che non sanno, trovandosi a gestire piu’ incertezza e a commettere piu’ errori.

D’altro canto, pero’, incertezza ed errori sembrano essere formidabili veicoli di apprendimento. La prima perche’ ci forza a immaginare molteplici soluzioni a un problema, un po’ come e’ chiamato a fare un ricercatore. I secondi perche’ ci si imprimono nella memoria. Chi sbaglia impara, e forse non c’e’ apprendimento piu’ efficace di quello che nasce da un errore (ne abbiamo vissuto le conseguenze sulla nostra pelle!). Certo, e’ necessario essere in grado di riconoscere gli errori come tali, piuttosto che rileggerli con una chiave di lettura a se’ favorevole, ma anche in questo mi sembra che gli sperimentatori siano facilitati (o sfavoriti, a seconda del punto di vista…): a differenza degli affiliati potrebbero non avere epistemologie forti all’interno delle quali ricercare giustificazioni e conforto.

Un’altra via maestra per l’apprendimento, per lo meno a giudicare dalla mia limitata esperienza professionale, e’ quella dei momenti di sintesi e di bilancio. Durante queste occasioni si e’ in grado di mettere insieme pezzi diversi di esperienza e di conoscenza, ricostruendo piu’ chiaramente le dinamiche degli eventi e individuandone le cause (quello che gli americani chiamano “connecting the dots”). Recentemente mi e’ capitato di dovere preparare una presentazione sulla mia iniziativa imprenditoriale in Olanda, a distanza di qualche mese rispetto a quando le attivita’ in quel paese si erano concluse. Anche grazie alla distanza temporale, preparare la relazione mi ha offerto l’opportunita’ di rileggere l’esperienza maturata in modo unitario e con sufficiente distacco emotivo, facilitando una comprensione di piu’ alto livello sul come erano andate le cose.

Un fenomeno simile di sintesi (per altro molto studiato dagli esperti) sembra attivarsi allorquando la mente si trova improvvisamente e interamente assorbita da qualcosa di diverso e di piacevole, dopo essere stata impegnata continuativamente da una serie di stimoli nuovi o da un problema da risolvere. Non credo sia un caso se i momenti piu’ creativi dei miei soggiorni a Boston si inneschino durante i voli notturni di ritorno in Europa, piuttosto che in autobus di ritorno dal weekend a New York. Tale apprendimento di sintesi sembra fortemente facilitato dalla scrittura o dalla conversazione, momenti che ci forzano ad esplicitare le connessioni tra concetti.

Da ultimo, considero quella dimensione dell’apprendimento legata alla visione del punto di arrivo delle proprie azioni e del proprio percorso. Lavoro da molto tempo con ingegneri e tecnici, e continuo a rimanere affascinato dalla loro grande capacita’ esecutiva. Ancorando la programmazione a un “diagramma di flusso”, individuano linearmente le azioni da intraprendere: faccio A, poi faccio B, quindi faccio C. A volte pero’ tale sequenzializzazione ha un risvolto negativo, in quanto la visione del passo presente e di quello immediatamente successivo preclude quella dell’obiettivo finale. Ne consegue che anche straordinari esecutori potrebbero non riuscire ad anticipare i problemi e le opportunita’ disseminati lungo il percorso, correndo il rischio di arenarsi agli step intermedi nell’attesa che venga detto loro che cosa fare. E’ anche forse per questo motivo i paradigmi educativi emergenti enfatizzano il cosiddetto “pensiero laterale”, quello che consente di imboccare strade diverse per arrivare alla stessa destinazione. Questa dote potrebbe andare di pari passo con una forte visione d’insieme o olistica delle cose, che tra l’altro facilita la sequentalizzazione a ritroso del corso delle azioni o “reverse engineering”: avendo ben chiara la destinazione, capisco che e’ necessario passare da C, e prima da B, e prima da A. I percorsi formativi umanistici sembrano agevolare approcci olistici e finalistici, posto che un background esclusivamente umanistico potrebbe produrre grande visione strategica ma minore capacita’ esecutiva.

In definitiva, mi sembra che sperimentare, affiliarsi, sintetizzare, ingegnerizzare e “strategizzare” siano tra gli strumenti piu’ importanti per l’apprendimento di piu’ alto livello. L’indole e la storia formativa di ognuno di noi ci incanala piuttosto naturalmente verso l’uno piuttosto che l’altro, e padroneggiarne uno o due risulta gia’ molto difficile. Resta il fatto che la consapevolezza dell’esistenza dei “mille volti dell’apprendimento” puo’ allargarci gli orizzonti e spingerci verso nuovi esperimenti. Spianando la strada verso una delle esperienze piu’ gratificanti e motivanti per gli esseri umani, quella di mettere a miglior frutto le nostre conoscenze ed esperienze.

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