Filippo Dal Fiore

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La societa’ fuori tempo

January 24, 2013
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Accendo la televisione. Mentre metto su da mangiare. Mentre rispondo al telefono. Mentre penso al lavoro. Mentre sbircio sull’iPad. Mentre mi occupo del mio bambino. Mentre penso a cosa fare nel weekend.
Lavoro a un foglio Excel. Nel frattempo mi arriva una e-mail. Nel frattempo mi viene in mente di leggere una notizia su Internet. Nel frattempo mi chiama un amico su Skype. Nel frattempo controllo Facebook.
Lavoro su un progetto. Ma potrei lavorare anche ad un altro. Il primo potrebbe non andare bene. Il secondo e’ all’estero. Forse dovrei pensarci di piu’.

Tutto insieme, senza soluzione di continuita’. E’ la societa’ odierna dell’overload, che ci sovraccarica di potenziali cose interessanti da fare, imparare e comprare, ma che allo stesso tempo ci mette sempre fuori tempo. Sull’onda dell’eccitazione ci proiettiamo verso le prossime cose belle che non vogliamo perderci, mentre il presente ci sfugge di mano. Difficilmente assaporiamo il momento di quello che stiamo vivendo, ci manca la calma necessaria e siamo troppo preoccupati per il futuro. Senza accorgercene, viviamo sopra le righe.

Perche’ fai cosi’ tante cose? Dove corri? Perche’ vai di fretta? A che cosa pensi? Perche’ comprarti anche quell’oggetto? Perche’ visitare anche quel sito? Perche’ imbarcarti anche in quel viaggio? Perche’ essere cosi’ competitivo? Perche’ mangiarti pure la frutta oltre al dolce?
Non esiste un bisogno reale di fare tanto, si tratta di un bisogno indotto, alimentato dall’attuale sistema iper-capitalista che ci vuole sempre super-produttivi, super-pronti a cogliere le opportunita’, super-competenti e super di successo, per far fronte alle presunte sfide del futuro. Siamo come dei bambini di fronte a una scatola di cioccolatini, con la differenza che nessuno ci dice non e’ una buona idea precipitarsi a mangiarseli tutti nel minor tempo possibile.

Forse una grande sfida per il mondo moderno e’ quella di resistere a tutte queste tentazioni. E’ quella di imparare a guidare la Ferrari che la tecnologia ci ha messo a disposizione prima ancora che avessimo imparato a guidarla. E’ quella di rieducarci a fare meno cose ma a farle meglio, piu’ presenti e con i piedi per terra, con un atteggiamento piu’ contemplativo, umile e rispettoso. E’ quella di distanziarci dal modello americano di cui siamo succubi, perche’ non riconosciamo le assunzioni alla base delle tecnologie, delle immagini e delle parole che ci arrivano da quella parte del mondo cosi’ convinta di lavorare per il bene dell’umanita’.

Su tutto questo la cultura italiana potrebbe dire molto. Ultimi tra i primi del mondo, noi italiani spesso ci distinguiamo da loro per la capacita’ di trasmette affetto e di ricercare la bellezza delle cose. Non e’ forse un caso se l’attuale processo di globalizzazione ci ha lasciati indietro: ragioniamo meno per obiettivi; viviamo ancora piu’ nel passato che nel futuro; diamo ancora valore al goderci la vita; ci occupiamo ancora molto, forse troppo, di politica; abbiamo un approccio piu’ umano e rilassato.
Nel film “La fine e’ il mio inizio” l’italiano Tiziano Terzani diceva al figlio Folco: “Il problema e’ l’economia”. Il mondo globalizzato ha elevato l’economia a religione unica in cui tutti i popoli possono riconoscersi. In questo l’economia svolge una funzione insostituibile, ma dovra’ ritornare ad essere un mezzo per l’uomo piuttosto che il suo fine.

p.s., precauzioni per l’uso: in questo articolo prevale la componente emotiva su quella scientifica.
Il rischio, di cui sono consapevole, e’ quello di generalizzare a senso unico la realta’, tralasciando gli aspetti positivi pur portati dai fenomeni descritti.
Mi e’ venuto cosi’, ma non l’ho voluto modificare per conservare l’urgenza dell’emotivita’…

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