Filippo Dal Fiore

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La battaglia del valore

March 6, 2014
money

E’ da un po’ che volevo scrivere questo articolo sul “valore”, concetto a cui la nostra societa’ sembra assegnare sempre piu’ importanza. Di valore si preoccupano le aziende, che sempre piu’ ingegnerizzano nuove dinamiche di prezzo e di sconto per costruire e comunicare il loro valore. Di valore discutevamo all’Aspen Institute, nel contesto di seminari intitolati “Leadership, globalizzazione, e la ricerca di valori universali”. Di valore sento disquisire Don Romeo Sinigaglia, sacerdote rivoluzionario che sostiene che per definizione il Valore c’e’ gia’ in ciascuno di noi e nel mondo cosi’ com’e’, e li’ va ricercato.

La realta’ sembra essere quella che tutti noi, in misura diversa, combattiamo una battaglia continua per sentirci persone di valore e accreditarci a ricevere le cose che riteniamo di meritare. E’ paradossale costatare quanto la societa’ materialmente piu’ benestante della storia non abbia calmato tale ansia di valorizzazione, ma piuttosto la alimenti e se ne alimenti.

“Garnier. Perche’ io valgo”: questo slogan pubblicitario compira’ quest’anno la bellezza di 42 anni di successo. Il messaggio implicito e’ che se non usi quei prodotti non vali, non sei all’altezza di quello che (tu credi) gli altri si aspettano da te. Funziona allo stesso modo per molte altre cose, tutto quello che la nostra societa’ ritiene dovremmo fare per perfezionarci. Credo che migliorarsi sia bello e nobile, ma e’ paradossale realizzare che nel farlo potremmo squalificare la percezione del nostro valore intrinseco, quello che c’e’ gia’ in quanto esseri umani. “Sii buono, e Dio (o il mondo) ti dara’” lasciano intendere molte dottrine educative, assumendo che noi buoni non siamo, e che ancora non possediamo quello di cui abbiamo bisogno.

Gia’, ma di che cosa abbiamo bisogno in fin dei conti?
Istintivamente mi torna in mente il documentario “Poor Kids” della PBS, sui bambini poveri americani. Le loro famiglie erano costrette a trasferirsi in roulotte o abitazioni sprovviste di acqua corrente, ma invece che deprimersi o incattivirsi, questi bimbi sembravano motivarsi in una sfida che li vedeva proattivi e uniti ai loro genitori come non mai.
Forse non tutto quello di cui crediamo di avere bisogno e’ cio’ che ci porta il piu’ grande beneficio. In quanto persone necessitiamo anzitutto attenzione ed accettazione da parte dei nostri genitori e degli altri: a livello evoluzionistico e’ questo amore che ci garantisce la sopravvivenza. Spesso invece ci ritroviamo a rincorrere i nostri bisogni secondari senza avere completamente appagato quelli primari, forse contraddicendo la teoria della piramide dei bisogni di Maslow.

Se ci trovassimo d’accordo su queste premesse, sarebbe forse piu’ facile condividere quei valori universali che da piu’ parti invochiamo nel nostro “villaggio globale”. Credo si possa dimostrare scientificamente che, nel profondo, vogliamo tutti le stesse cose: sicurezza, serenita’, benessere, comprensione, rispetto, accettazione incondizionata, compagnia, motivazione contro la noia. Culturalmente, invece, determiniamo i modi in cui possiamo sentirci degni di tali valori. Ed e’ cosi’ che, perlomeno nel modello occidentale predominante, onoriamo il lavoro, la famiglia nucleare, i soldi, il potere, la tecnologia, “mezzi” che trasformiamo in “fini” e su cui costruiamo infinite questioni di principio. Tali strumenti sono indispensabili per garantirci migliori prospettive di vita, soprattutto dal punto di vista materiale, ma forse all’alba del terzo millennio potremmo regalarci un passo indietro per recuperare anche quello di cui abbiamo piu’ profondamente bisogno.

Belle parole, ma come farlo?
Potremmo forse cominciare a fare di meno, ma meglio, anziche’ fare di piu’ e in modo indiscriminato, tornando ad asservire la tecnologia e la tecnica all’uomo piuttosto che facendosi asservire da esse. Potremmo altresi’ costruire nuovi paradigmi educativi centrati sulla scoperta del nostro valore intrinseco (piuttosto che della nostra ignoranza e fallacia), decidendo noi stessi quale tipi di profezie vogliamo vedere auto-adempiersi.

Ripenso agli anni negli Stati Uniti e all’enfasi riposta in asserzioni quali “avere un impatto”, “fare la differenza”, “cambiare il mondo”, “essere leader”. Nella sua ossessivita’, quel modello e’ forse gia’ sorpassato: invece di chiederci cosa possiamo fare per il mondo, potremmo piu’ semplicemente domandarci cosa puo’ fare il mondo per noi. “Be the change you want to see in the world”, diceva Gandhi. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.

Immagine: ©  Greekshares

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