Filippo Dal Fiore

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Soli verso il futuro

January 16, 2015
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Rientro in ufficio dalle vacanze natalizie.
E’ un momento speciale quello del Natale, un’occasione per rincontrare tanti amici in città, per trascorrere serate e intere giornate in compagnia delle persone che mi stanno piu’ a cuore. Ed eccomi qui invece, da solo, nel mio ufficio, io e il mio computer, io e i miei libri, con un senso di vuoto che appare ora evidente. Piano piano mi riabituo alla routine quotidiana, rendendomi conto di come molti di noi, riuniti nei giorni di festa con la calma di condividere quello che siamo con gli altri, torniamo a richiuderci nei nostri mondi fatti anche di molta fretta e solitudine. Soli in auto, soli davanti al computer, soli al cellulare, a volte soli con i nostri pensieri anche quando circondati da altre persone.

Molti figure di riferimento in ambito spirituale hanno pochi dubbi nell’individuare nella solitudine una delle sfide più grandi delle società moderne. Madre Teresa vedeva la solitudine all’origine dei mali osservati negli Stati Uniti; il maestro buddista Thich Nhat Hanh riflette sui motivi per cui non basti parlarsi per sentirsi compresi, ne’ stare in compagnia di altri per non sentirsi soli; Papa Francesco parla di superficialità e di periferie esistenziali. A ben vedere, in molti abbiamo a disposizione media di ogni tipo e occasioni per interagire con chiunque, eppure sembra più difficile riuscire a comunicare quello che siamo e quello di cui abbiamo bisogno. Molta attività su Facebook e sui social network è forse essa stessa un tentativo di colmare una latente solitudine.

Il nostro bisogno di comunicare e di appartenere è imprescindibile, equivale al bisogno di essere voluti ed amati dagli altri. Ci garantisce la sopravvivenza nelle primissime fasi della vita, e ci ha garantito la sopravvivenza in epoche passate in cui trovarsi emarginati dal proprio gruppo equivaleva a morte certa. Forse nessun’uomo in cuor suo desidera stare solo, eppure sempre piu’ persone sembrano loro malgrado ritrovarsi a vivere da soli, lavorare da soli, mangiare da soli, viaggiare da soli. Fanno del loro meglio per rifuggire il senso di vuoto attraverso innumerevoli forme di intrattenimento o di iper-attività, mentre la cacofonia generale rende sempre più difficile cogliere la poesia del mondo.

Osservo impressionato alla velocità con cui come il modello individualista della società americana stia avanzando in Italia e in tutto il mondo globalizzato, e di quanto lo si stia per molti versi subendo senza averne consapevolezza. Con il copia-incolla di quello che non ci appartiene, ma che ci viene presentato come desiderabile, finiamo per non rispettare le sensibilità della nostra cultura e assistiamo impotenti a un involgarimento della nostra società. Oggi piu’ che mai, a mio avviso, per costruire serenità e felicità abbiamo bisogno di restare uniti.

Eppure, le intenzioni di fondo non sono necessariamente sbagliate. Tutti abbiamo bisogno di una nostra quota di autonomia e indipendenza, e se è vero che proponendoci così tante cose diverse la società ci disperde in mille rivoli distanziandoci l’uno dall’altro, è anche vero che godiamo di un meraviglioso spazio di creatività e sperimentiamo nuove forme di gratificazione profonda. La riflessione solitaria può aiutarci a progredire, ma forse c’è bisogno di rimettere in moto il nostro cuore per realizzare che stiamo trascurando una reale istanza di comunità e di comunicazione. Occorre a mio avviso andare oltre l’attuale e più che comprensibile fase di infatuazione passiva con tutto quello che è virtuale e personalizzato. Come pretendere, d’altronde, che dopo un’evoluzione tecnologica tanto potente non occorra un’evoluzione culturale?

Lungi dall’essere tecnologica, a mio avviso la grande sfida del futuro consiste nel ridisegnare i sistemi sociali su fondamenta diverse, ovvero su quello che vogliamo veramente, piuttosto su quello che ci impongono la tecnologia e l’economia. Attualmente, la nostra società si plasma su sovrastrutture tecnologiche ed economiche non sono necessariamente progettate da chi comprende a fondo i bisogni degli esseri umani, una lezione importante che mi porto dietro dagli anni del MIT. Credo occorra rimpadronirsi del buon senso e tornare a guardare noi stessi più in profondità, piuttosto che rincorrere superficialmente l’ennesima idea, moda, o innovazione.
E’ forse questo il senso ultimo di questa nostra solitudine, quello di indicarci la via del futuro.

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