Filippo Dal Fiore

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Usare la testa, usare il cuore

November 13, 2015
connection between heart and brain restored - illustration

Il mondo moderno sembra ogni giorno più complicato e rumoroso.
Procede attraverso la moltiplicazione incontrollata delle opzioni: sempre più cose da fare, da sapere, da considerare. Sempre più messaggi, modelli, azioni e attività possibili. Si fa largo inevitabilmente molta confusione, insieme al sentimento di non essere mai all’altezza, di “dovere” fare qualcosa di più per restare al passo.

Anche se raramente esiste una imprescindibile necessità di fare qualcosa, la reazione più comune allo stress è quello di cominciare noi stessi a strafare. Assorbendo inconsapevolmente il mood e le energie degli ambienti che frequentiamo, ci buttiamo in un eccesso di azione che risulta detrimentale alla sua qualità. Da lucido e creativo, il pensiero si fa reattivo e invasivo. Entrando in uno stato di allerta continua, ci precludiamo una disposizione naturale di rilassamento, che poi è la stessa che consente alle porte del nostro cuore di aprirsi.

Più il mondo diventa fittiziamente complicato, più è forte il nostro bisogno di semplificarci la vita. Solo attingendo alle nostre risorse più preziose, l’intelligenza e la capacità di amare, riusciremo a recuperare il senso della misura e delle priorità, riavvicinandoci al nostro “centro”.
Il passo più difficile è forse quello di trovare il coraggio di fermarsi, di compiere quell’atto rivoluzionario di fare un passo indietro rispetto a un sistema che sembra ormai favorire un’involuzione dell’essere umano piuttosto che la sua evoluzione.

Può essere eccitante e formativo vivere dell’adrenalina del sistema attuale, io stesso ne facevo pienamente parte qualche anno fa, ma alla lunga non è sostenibile. La vita ci chiede di crescere, di recuperare ritmi più naturali per compiere le scelte giuste e imboccare la strada evolutiva. Ci richiede di emanciparsi dalle ossessioni socialmente determinate (“bisogna fare così”, “bisogna diventare colà”) per tornare ad essere noi stessi, usando tutto il potenziale di intelligenza e di amore di cui siamo dotati.

Oggi mi guardo intorno con più consapevolezza di un tempo. A dispetto di tutto quello che si scrive sulla società della conoscenza, constato una povertà di idee autenticamente originali e creative. Ritrovo tanta imitazione (più o meno consapevole) e tanto astio, inevitabili portati di un sistema sociale fondato su una nozione semplicistica di competizione. Charles Darwin è morto da oltre 130 anni, ma la disciplina “evoluzionista” che su di lui è stata costruita regna ancora sovrana nel profondo della psiche e della cultura occidentali. Il potere fascinativo e auto-conservativo delle idee è semplicemente incredibile: ne farei il tema principe di una certa scienza che più che “salvare il mondo” avrebbe anzitutto bisogno di capire sé stessa e il suo impatto sul mondo.

Come forse sempre accade nell’altalena dei corsi e dei ricorsi storici, il sistema attuale sembra però portare già in seno il sistema più evoluto che verrà. Negli ultimi anni, in ogni dove del mondo, sembra prendere forma o evidenza un modo di pensare e di fare più avanzato, in quanto più favorevole all’uomo e alla Vita. Senza molto chiasso (caratteristica del mondo da cui si vuole prendere le distanze), emergono persone ed organizzazioni nuove che nella loro semplicità stanno già dimostrando che un altro mondo è possibile. Privilegiando la sostanza sulla forma e la giusta misura sull’eccesso, questi nuovi interpreti del nostro tempo crescono alla periferia delle attuali istituzioni politiche, scientifiche, mediatiche ed economiche, istituzioni figlie di un’epoca che non è più quella attuale e quindi destinate prima a sgretolarsi se non coinvolte in un mutamento sostanziale (temo che nei prossimi tempi udiremo molti frastuoni).

In parte i nuovi attori provengono da quella società civile che si è vista costretta a imparare da sola a sopravvivere. In parte si tratta di persone, gruppi e organizzazioni fuoriusciti o ancora presenti nel sistema che invece dello scontro ideologico hanno scelto la via pragmatica del reinventarsi le cose da soli. Così come la malattia, la crisi serve a traghettarci in un nuovo stato di salute. Nella fiducia più assoluta che non c’è nessun mondo da salvare, ma che nella sua infinità bontà e bellezza il mondo non può che essere nella sua giusta traiettoria.

Vi lascio, infine, alle parole di Albert Einstein:
“Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.

La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. L’unico pericolo della crisi è la tragedia che può conseguire al non voler lottare per superarla.”

Immagine: ©adivawithin.com

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