Filippo Dal Fiore

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I rischi della mono-disciplinarietà

March 7, 2016
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La multidisciplinarietà è sempre stata il mio pallino. Nei lunghi anni della mia formazione scientifica, mai riuscivo ad accontentarmi degli strumenti che mi offriva ciascuna specifica disciplina sociale con cui venivo in contatto. Percepivo che la mentalità che si acquisiva dentro i dipartimenti universitari in qualche modo non mi apriva a capire il mondo nella sua complessità (e, al contempo, semplicità), ma piuttosto confinava il mio pensiero dentro binari che promettevano sì di produrre degli output conoscitivi controllabili e attuabili, ma anche molto ristretti nella loro valenza epistemologica ed etica. I filosofi parlano di “riduzionismo”, gli psicologici di “visione a tunnel”: invece che mantenere gli occhi ben aperti verso l’arcobaleno del mondo, ci conformiamo a credere che il mondo sia solo di un colore. Invece che intraprendere l’esplorazione del mare, preferiamo continuare ad affinare le tecniche natatorie in piscina, finendo per scambiare l’una per l’altro.

Se fosse per me, della scienza manterrei il metodo empirico (ce n’è grande bisogno!), ma mi emanciperei dalle discipline. In fin dei conti, le discipline erigono dei confini che semplicemente non esistono nel mondo reale, sono confini artificiali, inventati, di comodo, al pari dei confini politici tra i paesi del mondo. Lo dice pure la parola: le discipline servono per “disciplinare” il mondo, ovvero per dare al mondo un ordine a partire da alcune assunzioni di partenza, non per capirlo. Quando l’obiettivo è disciplinare piuttosto che capire, il rischio è quello di smettere di produrre idee (universali) per produrre ideologie (di parte). Questo è esattamente quello che avviene, tutti i giorni e a tutti i livelli, nelle riviste scientifiche, così come nei mezzi di comunicazione, o al bar con gli amici. Sentite quello che afferma l’Economist, testata che sposa anima e corpo una specifica ideologia disciplinare, quella dell’economia: “Le città sono il motore economico del mondo e più grandi sono meglio è” [dall’articolo “Jam Today” dello scorso 27 Febbraio]. Si tratta di un’affermazione categorica che invece di creare comprensione per quello che le città realmente sono, impone il punto di vista dell’economista che rinchiuso nella sua disciplina non riesce più a vedere…l’ovvietà. Il crescere a dismisura delle città potrebbe generare anche problemi di natura ambientale e sociale, e chissà quante altre conseguenze ad altri livelli. Quello disciplinare dovrebbe quindi essere proposto come punto di vista che trova il tempo che trova, piuttosto che ipotesi da confermare ad ogni costo, se non verità ultima verso cui dovremmo tutti conformarci. Altrimenti, facciamo danni: distorciamo, letteralmente, la realtà dei fatti, creando inevitabilmente divisioni, conflitti, fazioni, teorie e scuole di pensiero.

Non è un caso se propongo un esempio dall’Economist, perché il mono-pensiero economico è quello maggiormente domina, o meglio, disciplina, il mondo di oggi. Il suo senso ce l’ha certo avuto, ma a questo stadio della traiettoria di sviluppo dell’umanità siamo in molti a pensare che è indispensabile toglierci il paraocchi per generare idee evolutive. La copertina dello stesso Economist dello scorso 20 Febbraio si intitola “L’economia mondiale. Siamo rimasti senza munizioni?”, facendo riferimento a problema che la produzione economica globale non cresca nonostante le banche centrali si siano giocate tutte le cartucce a disposizione per far sì che questo avvenga. Che si fa se la realtà non si lascia più disciplinare? La stessa disciplina economica è destinata a crollare come un castello di carte, sotto il peso di conseguenze impreviste che lo stesso mono-pensiero aveva ingenerato. L’economia per come la conosciamo ha fatto il suo tempo: c’è servita a tante cose, ma ora non ci serve più. E’ stata una conquista dell’ingegno umano, ma la gloria del passato è ora di impedimento per affrontare il presente.

Lo scorsa settimana alla Fondazione Golinelli di Bologna abbiamo inaugurato il progetto “Icaro”, un percorso attraverso cui studenti di diverse facoltà universitarie sono chiamati a collaborare su problemi  reali che alcune aziende pongono loro. Per introdurre il tema della multi-disciplinarietà, propongo agli studenti una riflessione sull’ascolto: non si tratterà di imporre i propri punti di vista disciplinari verso le aziende, ma piuttosto di porsi in ascolto delle loro istanze. Nel modo più scientifico possibile, ovvero senza filtri ne’ pregiudizi, ma piuttosto empiricamente e attentamente, ciascuno aiutato dalla propria sensibilità culturale, specialistica, e umana. L’ascolto ci aprirà le porte della comprensione, e a sua volta la comprensione ci porterà ad intuire la cosa ottimale da fare. Per fare e portare chiarezza è necessario armarsi della pazienza e dell’umiltà per porsi in ascolto, pena il rischio di ingaggiare una gara di idee prima ancora di capire di che cosa si stia parlando.

Il futuro delle discipline scientifiche e del contributo che possono dare alla nostra società passa a mio avviso per esperimenti quali quello promosso dalla Fondazione Golinelli. E’ importante che la produzione di conoscenza non si fondi solo dentro e per le discipline, pena la sua non scientificità e non veridicità. Per essere tale, è necessario che la ricerca sia completamente gratuita e disinteressata, con il solo obiettivo di comprendere, e quindi amare ancora di più, il mondo che ci circonda. Ad oggi invece le discipline sembrano orientate a un altro obiettivo: quello di rendere più intelligibile il mondo di maniera riduzionistica, così da poter generare ideologie e tecnologie in grado, per l’appunto, di disciplinarlo. Tutto questo è stato forse indispensabile nel passato, ma a questo stadio della nostra evoluzione stiamo rendendoci sempre più conto dei limiti di chiudere il mondo in “scatole” che ci costringono a prendere posizioni, e di cui finiamo per diventare schiavi. La vera comprensione, invece, è unica e uguale per tutti, perché uniche sono le leggi della nostra natura che ci uniscono e ci rendono liberi. La vera comprensione non ha paura di arrivare all’essenza dell’amore.

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