Filippo Dal Fiore

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La rivoluzione della sostenibilità (12): che uso si fa della pubblicità?

July 13, 2018
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Ed ecco che arrivo a scrivere di pubblicità nel contesto della “Rivoluzione della Sostenibilità”. Il lettore si chiederà quanto possano impattare i messaggi pubblicitari nella creazione di un’economia più sostenibile. La risposta richiede molta sofisticazione: le sfaccettature della comunicazione pubblicitaria – come di qualsiasi altra forma di comunicazione d’altronde – non solo sono tante ma tendono a penetrare subdolamente in quell’inconscio collettivo da cui prende poi forma l’agire sociale.

Il primo tema pertinente è la rincorsa messa in atto dalle aziende dei mercati consumer a caratterizzare i propri prodotti e servizi come eco-sostenibili, ovvero attenti all’ambiente e alla salute umana. Crescono nella società nuove sensibilità green, e quando un’azienda in un mercato risponde alla nuova chiamata tutte sono indotte a farlo per mantenere la propria attrattività. Negli ultimi anni questa corsa è stata talmente accelerata – con un’esplosione di claims (grandi affermazioni a scopi pubblicitari) da parte delle aziende e di certificazioni erogate da enti terzi – che si è arrivati a parlare di greenwashing, ovvero del fatto che molte aziende si dipingano molto più eco-sostenibili di quando effettivamente siano.

Gli sforzi sostanziali messi in atto sono da accogliere molto positivamente, rappresentando auspicabilmente il primo passo di un cammino di miglioramento destinato a continuare (molti prodotti e iniziative green sono già dei capolavori di innovazione!). L’eccesso di comunicazione pubblicitaria collettiva comporta però una perdita di credibilità per tutti: come è possibile, si domandano in molti, che tutte le aziende siano improvvisamente in grado di trasformarsi in paladine dell’ambiente e della nostra salute?
Quello che tutti noi consumatori dovremmo fare per distinguere forma e sostanza è indagare più a fondo, ponendoci, per esempio, queste domande:

- Quanta quota parte del portafoglio di prodotti o servizi dell’azienda è stata migliorata? Quanto è stata migliorata e quanto risulta ancora migliorabile?
- Quali sono le soglie richieste per ottenere le certificazioni di prodotto e processo che le aziende dimostrano di avere? Chi eroga tali certificazioni e in che modi?
- Quanto specifici sono i claims delle aziende e, soprattutto, in quali azioni pratiche si traducono?
- Ultimo ma non meno importante: quanto è lecito aspettarsi da diverse tipologie di aziende, dotate di più o meno risorse?

Per districarsi nella giungla di parole, sigle e dati è necessario spogliarsi di pregiudizi sul mondo delle aziende e della pubblicità, per evitare di fare di tutta l’erba un fascio e non vedere le iniziative realmente eccellenti e trasformative. Occorre imbarcarsi in una ricerca concreta che richiede tempo e competenze, risorse di cui la maggior parte dei consumatori non è purtroppo dotata. Questa operazione di controllo e validazione è spesso attuata dalle associazioni dei consumatori (in Italia spicca Altro Consumo), se non dalle ONG preposte alla tutela dei temi ambientali e di salute (si pensi a Green Peace). Tutto questo è però molto lontano dall’essere sufficiente: risulta a mio avviso indispensabile che vecchie e nuove entità pubbliche giochino un ruolo più proattivo a tutela dei consumatori.

Per controllare, validare e depurare a monte il proliferare incontrollato della comunicazione pubblicitaria, occorrono leggi, certificazioni e regolamentazioni sulla comunicazione pubblica più stringenti. Nei casi e nei paesi in cui queste esistono tutti ne beneficiano, e alle aziende è richiesto uno sforzo più considerevole per elevare i propri standard. L’intervento pubblico è a mio avviso richiesto anche per moderare i contenuti stessi della comunicazione pubblicitaria che, temi green a parte, risultano troppo spesso offensivi dell’intelligenza e della dignità umana.

E’ davvero nell’interesse della collettività che le nostre città siano tappezzate di manifesti con donne seminude e ammiccamenti sessuali? E’ di pubblico interesse che proliferino in ogni dove e in ogni media slogan e immagini che cercano di sedurci con messaggi volontariamente banali? Ci pensa mai nessuno che alle pubblicità ubique sono esposti anche i bambini?
Senza necessariamente sposare bigottismo e seriosità, occorre rendersi pienamente conto che è in atto una forma di umiliazione dell’immagine complessiva di noi stessi esseri umani. Si è perso il senso della giusta misura e chi ne soffre è l’inconscio collettivo della nostra società, ovvero il linguaggio in uso, le emozioni innescate, e in ultima istanza la psiche delle persone. La cosiddetta “volgarità” equivale a parlare alla parte più impulsiva e animalesca di noi esseri umani, creando ferite e logoramento alla quella nostra essenza spirituale in grado di elevarci e guarirci.

Oggi più che mai è a mio avviso necessario recuperare il valore più alto e costruttivo della pubblicità, una forma di comunicazione pubblica dalle grandi implicazioni. In altre epoche, i messaggi pubblici affissi sulle pareti degli edifici dei centri cittadini venivano utilizzati per veicolare descrizioni e suggestioni sulle virtù civiche utili alla collettività. Si faceva, in altre parole, un utilizzo intelligente e responsabile della pubblicità, come in parte avviene anche di questi tempi attraverso le buone campagne di comunicazione sociale.

In conclusione, ritengo che gli organi di governo della collettività non dovrebbero consentire l’accesso allo spazio pubblico-pubblicitario a chiunque e per qualsiasi tipo di messaggio. A maggior ragione se consideriamo che le aziende che arrivano a potersi permettere l’acquisto degli spazi pubblicitari sono tipicamente quelle che sono già molto ricche nei propri mercati, con la conseguenza che la pubblicità finisce per accelerare la loro posizione di dominio su tutti gli altri. E’ libera concorrenza quella in cui solo chi ha più soldi può acquistare la possibilità di farsi conoscere? E’ una società libera quella in cui la decisione di chi comunica e che cosa comunica spetta solo all’iniziativa privata di chi se lo può permettere?

Immagine: http://www.talentahead.com/advertising-and-media.html

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