Filippo Dal Fiore

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Ripartire dal denaro per cambiare il mondo

September 16, 2019
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La rivoluzione della sostenibilità (post 23)

Se avessi l’opportunità di riscrivere la scienza economica lo farei a partire da un concetto tanto fondamentale quanto semplice: il denaro. Che il contenitore sia il mercato o lo stato, che l’accordo sia una proprietà privata o una proprietà pubblica, a livello fondamentale sono i soldi che muovono il mondo, e chi muove i soldi ha quindi il potere di farlo.

Centrare lo studio dell’economia sui soldi significa porterebbe a formulare domande che non necessariamente vengono poste, perlomeno in modo ampio e diretto, all’interno dell’impianto scientifico attuale. Due di queste mi stanno particolarmente a cuore e recitano così:

- per che cosa vengono pagate le persone e perché?
- come interferisce la disponibilità di soldi sul potenziale auto-realizzativo delle persone?

La risposta è più ramificata e gravida di implicazioni di quanto potrebbe a prima vista apparire. Focalizzandosi sulla prima questione, si potrebbe rispondere che le persone vengono pagate per lavorare, intendendo con lavoro una qualche attività produttiva che genera un output per un qualcuno che non è sé stessi. La società attuale retribuisce quindi la produzione, con la conseguenza che tutti cercano di essere produttivi, anche a scapito del prendersi cura di sé stessi e della propria famiglia.

Le attività di (auto-)cura non vengono retribuite, pur producendo output concreti e socialmente utili per sé stessi e per gli altri. L’assegnare valore sociale alla produzione e non farlo nei confronti della cura ha prodotto una società fortemente sbilanciata, in cui paradossalmente ci si sente in deficit o in colpa quando non si produce – anche se ciò che produciamo risulta ridondante e foriero di danni collaterali alle altre persone e all’ambiente – piuttosto che di quando non ci si prende cura di sé stessi e degli altri.

Occorre rendersi più pienamente conto del potere magico-trasformativo dei soldi. Sia a livello simbolico che pratico essi rappresentano il più straordinario strumento a nostra disposizione per orientare le azioni umane: così come un’attività retribuita tende a crescere, un’attività non retribuita tende ad andare scemando (almeno che non si cominci ad attingere ad altri fonti motivazionali, che possono però permettersi solo coloro che nutrono sicurezza rispetto alla propria disponibilità di denaro).

Se questo è vero diventa urgente chiedersi: che cosa ci impedisce di cominciare a retribuire la cura di noi stessi, degli altri e del pianeta, smettendo di retribuire le forme di produzione distruttive di noi stessi, degli altri e del pianeta? Mai come ora possiamo permettercelo, vista la quantità inimmaginabile e in perpetua crescita di denaro a disposizione nel mondo. Di fatto, alcune aziende cominciano già a farlo, concedendo ai collaboratori – all’interno dell’orario di lavoro retribuito – di fare sport all’interno o all’esterno delle strutture aziendali, di connettersi da casa dove hanno la possibilità di prendersi cura dei propri figli, di dedicarsi ad attività di volontariato sociale o ambientale promosse dall’azienda stessa, fino in alcuni casi a concedere un periodo sabbatico retribuito.

A ben vedere si tratta di una svolta epocale: le imprese cominciano a retribuire anche la cura, non più solo la produzione, trasformando magicamente quello che prima era vissuto come “perdita di tempo, di cui vergognarsi” in “tempo ben speso, di cui essere fieri”: io merito di essere pagato per prendermi una lunga pausa pranzo in cui pratico yoga o nuoto, la mia azione è lodevole, di grande beneficio personale, aziendale e sociale. Se sto meglio io, stanno meglio tutti. Se stiamo meglio tutti, starà meglio anche il mondo.
I risultati, in molti casi già monitorati scientificamente, non potranno che confermare quello che il buon senso ci fa già intuire: rimanendo nei confini della giusta misura, un migliore bilanciamento tra attività produttive e attività di cura non può che far bene ad entrambe.

Quando riusciremo a superare i nostri pregiudizi, ci renderemo pienamente conto di quanto il denaro può fare per migliorare la nostra società. La vita famigliare è sempre più difficile da portare avanti con le giuste attenzioni e stato d’animo, con importanti ripercussioni negative sui figli e sulla tenuta stessa della coppia? Cominciamo a retribuire il lavoro famigliare e plausibilmente vedremo presto cambiare il corso delle cose. Non c’è lavoro retribuito per tutti? Cominciamo a retribuire le iniziative di auto-formazione e auto-cura messe in atto da chi è temporaneamente inoccupato, e vedremo aumentare e diversificarsi sia i flussi in entrata nel mercato del lavoro, sia i flussi in uscita (da parte di chi sente il bisogno abbandonare il proprio posto di lavoro e può ora finalmente permetterselo).

Se i flussi di denaro restano legati alle sole attività produttive, l’intera società è condannata a vivere sotto ricatto. Nessuno è infatti libero di perseguire quello che ritiene essere più giusto per sé stesso, per gli altri e per il mondo, perché dipende dal proprio datore di lavoro – o dalla propria partiva IVA – per la propria sopravvivenza e per la propria dignità. Allorquando decretiamo che solo una parte del nostro tempo e del nostro stare al mondo può generare soldi, valore e autostima, andiamo a privare le persone del proprio valore intrinseco e del proprio potere: esse infatti subiranno il potere di chi li paga. Affinchè le persone – e quindi anche quello che da loro dipende – possano realmente fiorire, il denaro non deve essere un problema. Era così nelle società primitive, mi auguro possa ritornare così nelle società più autenticamente evolute.

Immagine: ISTOCK

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