Filippo Dal Fiore

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Crescita, ma a che prezzo?

April 2, 2009
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Chiunque volesse fare una cronistoria dei principali temi che hanno dominato l’agenda mediatica e politica globale degli ultimi 2 anni, si troverebbe difronte a questa sequenza di eventi epocali: surriscaldamento globale; passaggio di consegne da Bush a Obama; tracollo della finanza.

Allo stesso tempo probabilmente registrerebbe grande puntualita’ nel sostituire un tema all’altro, quasi si trattasse di un oggetto consunto. In particolare, perlomeno nei media del “mainstream”, la crisi della finanza sembra avere oscurato la crisi climatica, a tal punto che non ho ancora sentito nessuno sbilanciarsi nel tracciare un collegamento che ai miei occhi sembra ovvio: la recessione e’ la migliore soluzione contro la crisi climatica. Se l’economia globale si contrae, si contraggono le emissioni, perche’ si produce meno, si trasporta meno, ci si muove di meno, si consuma e si spreca meno. Probabilmente, i progressi tecnologici e nei cambiamenti comportamentali dovranno fare ancora molta strada per ottenere un simile risultato di sostenibilita’ ambientale.

E’ comprensibile che in pochi si spingano a leggere tale “writing on the wall” (la “scritta sul muro” che sta di fronte a noi), visto che equivarrebbe a dovere mettere in discussione il fondamento ultimo dell’attuale sistema economico: la crescita del PIL, che cosi’ come viene attuata oggi, va in direzione opposta rispetto alla sostenibilita’. Al contrario, le cifre delle vittime globali della crisi finanziaria (coloro che restano senza lavoro) finiscono per reiterare la priorita’ della crescita come unico modo per creare lavoro per tutti. Il fatto che i cambiamenti del clima continuino a produrre sterminio ed emigrazione in mezzo mondo – attraverso aridita’, eventi climatici estremi ed inquinamento da gas di scarico – passa in secondo piano.
Sono di certo molti coloro che teorizzano alternative alla crescita, e io non sono al corrente del piu’ recente dibattito poco considerato dai mass media. In ogni caso, una cosa credo sia di certo migliorabile: la capacita’ dell’economia globalizzata di allocare i suoi prodotti laddove ce n’e’ veramente bisogno. I farmaci contro l’AIDS esistono in abbondanza ma non arrivano a sufficienza in Africa, laddove servono di piu’; tonnellate di cibo vengono commercializzate ogni giorno, ma non arrivano a chi muore di fame e mandano all’ingrasso e all’infarto chi non ne ha bisogno; senso della misura e spirito di fratellanza sono spesso prerogativa dei piu’ poveri e mancano ai ricchi che ne avrebbero piu’ bisogno nei paesi occidentali.
Credo che buona parte del problema sia dovuto all’attuale meccanismo di regolamentazione del mercato: il prezzo. Un prezzo che e’ fisso: se lo puoi pagare quanto decide il produttore bene, altrimenti non accedi a beni che potrebbero non arrivare mai a nessuno, ma piuttosto finire in discariche inquinanti o addirittura essere gettate in mare in qualche angolo del sud del mondo.

Probabilmente, si potrebbe trarre qualche insegnamento dagli arabi: il prezzo viene contrattato anche in base alla capacita’ di spesa degli acquirenti. Piu’ possiedi e piu’ paghi, un sistema che in Finlandia viene gia’ applicato quando si tratta di pagare le multe.
Si rischierebbe di diminuire l’incentivo a migliorarsi, ma si potrebbero creare meccanismi per cui “la prossima volta paghi di piu’ perche’ ora hai di piu’”. In questo modo potrebbe prefigurarsi una crescita’ socialmente ed ecologicamente piu’ giusta?
Rimarrebbe il problema della sostenibilita’ (le risorse del pianeta sono finite), ma a pensarci bene una soluzione basata sulla crescita e sulla creazione di lavoro potrebbe essere a portata di mano: distruggere il costruito in eccesso per ripiantare l’ambiente.

La bolla finanziaria appena scoppiata e’ stata creata cementando il mondo. Parte rilevante delle abitazioni e dei grattacieli costruiti rischiano di rimanere invenduti ed e’ ironico pensare che, a dispetto di un gran parlare di “smaterializzazione” dell’economia, il piu’ grande periodo di crescita economica della storia dell’uomo sia stato realizzato producendo case e uffici.
Con l’assunzione che, grazie al credito facile, ogni famiglia e ogni investitore potesse perseguire il sogno di possedere una, due, tre, cento proprieta’, in tutto il mondo.
In attesa di idee migliori, io sono quindi per il distruggere per creare, in nome della “distruzione creativa” che gia’ Schumpeter nel 1942 prefigurava come forza motrice del capitalismo.

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