Filippo Dal Fiore

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Protagonisti della nostra vita

January 31, 2014
protagonisti_UCLA

In un modo o nell’altro ho voltato pagina. Assecondando le mie inclinazioni, a poco a poco ho abbandonato il settore tecnologico per continuare il mio percorso professionale sui temi della sostenibilita’. Mi sento piu’ soddisfatto e realizzato, e mi domando: quante volte tutti noi viviamo una vita etero-diretta, cercando di compiacere una qualche aspettativa che percepiamo su di noi, piuttosto che auto-diretta, fidandoci del nostro intuito e di quello che ci gratifica piu’ profondamente?

A me sono serviti anni per capire che la strada che stavo percorrendo non mi apparteneva veramente, o meglio, aveva svolto la sua funzione di fase formativa ma non era una maturita’ professionale di lungo periodo. Sono dovuto passare attraverso il “fallimento” (tutti i progetti sono andati improvvisamente storti), per accettare che in quel campo e con quelle modalita’ io non avrei potuto avere “successo”. Leggi del destino e dell’economia a parte, il mio modo di fare e di pensare non si addiceva a quella sfera professionale: stavo rincorrendo degli obiettivi che in fin dei conti non sentivo miei, e la cattiva sorte e’ arrivata paradossalmente in soccorso per aiutarmi a capirlo (qualche sberla me la sarei volentieri risparmiata, ma questo e’ un altro discorso..).

Nella fase precedente del mio cammino continuavo ad agire di testa mia (in modo auto-diretto) all’interno ambienti e istituzioni lavorative di cui condividevo solo in parte l’etero-direzione (fai come facciamo noi) e l’operato. Portavo internalizzate dentro di me grandi aspettative su me stesso e mi dannavo a fare tutto il possibile per “contare qualcosa”, senza una visione di piu’ alto livello di dove valesse veramente la pena orientarsi considerate non solo le mie risorse ma anche i miei limiti.

Ne “Il coraggio di insegnare” l’educatore Parker J.Palmer introduce quello che lui chiama the voice within, la voce che ciascuno di noi ha dentro di se’ che ci suggerisce quello che e’ piu’ buono e giusto fare della nostra vita. Se solo riuscissimo a riconoscerla ed ascoltarla!
Il mondo moderno sembra fare di tutto per distanziarci da essa, proponendo piu’ opzioni e cose da fare e quindi piu’ confusione; piu’ velocita’ e quindi piu’ fretta e meno riflessione; piu’ fantomatici modelli aspirazionali e quindi piu’ ansie da prestazione; piu’ perfezionismo e quindi piu’ paura di commettere errori e imparare da essi. Non solo non c’e’ piu’ tempo per ascoltarsi, ma sembra non esserci nemmeno piu’ tempo per pensare.

In una societa’ in cui la maggior parte dei messaggi sembra dirci che dobbiamo essere in qualche modo migliori, essere onesti con se’ stessi appare sempre piu’ difficile. In molti diventiamo forse troppo ottimisti, e ci esaltiamo, o troppo pessimisti, e ci svalutiamo. Internalizziamo l’idea tanto pubblicizzata del “voglio tutto subito”, e cosi’ facendo ci complichiamo e acceleriamo la vita spesso senza reale necessita’. Quando qualche anno fa ho deciso di dare ragione all’intuizione di tornare a vivere in Italia, vicino a miei luoghi, alla mia gente e ai miei affetti, l’ho fatto anche per ritrovare un rifugio di calma, benessere e senso di identita’ dal caos di viaggi e progetti in cui mi ero ficcato. Un passo indietro per farne poi nuovamente avanti. O piu’ semplicemente, un passo indietro e basta, e il domani si vedra’. Se avessi preso una decisione pensando a come molti altri avessero deciso per me, sarei forse rimasto all’estero, facendo del male a me stesso e probabilmente, attraverso la mia insoddisfazione latente, anche agli altri.

Non sai dove andare: fermati. Non credo se sia un caso se sempre piu’ persone abbraccino la meditazione e la contemplazione del silenzio come strumento per ritrovare e tracciare la propria strada. Un recente articolo dell’Economist intitolato The mindfulness business ci informa di come la meditazione sia arrivata a essere strumento prediletto dai dirigenti di grandi aziende, da Google a PIMCO, da Apple a Virgin. Parallelamente, crescono vertiginosamente i casi di esaurimento da stress (burnout), dipendenza da lavoro (workalcholism) e comportamenti a limiti dell’etica e della legalita’ (misconduct): tutto mi fa pensare che sia  giunto finalmente il momento di ripensare radicalmente al modo in cui definiamo il successo, in modo drammaticamente meno auto-punitivo di quanto facciamo ad oggi. Forse l’impagabile e’ semplicemente sentire di vivere appieno la propria piccola fetta di vita, come sto cercando di fare io in questo periodo.

Io dico: invece di imbastire pretenziose battaglie contro i mulini a vento, meglio rilassarsi e cercare di remare ognuno con la propria corrente, godendosi serenamente un paesaggio a volte tanto meraviglioso. Perche’ come dice il maestro Kabat-Zinn: dovunque tu vada, ci sei gia’.

Immagine: ©  UCLA

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