Filippo Dal Fiore

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La malattia della modernità

July 8, 2015
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Come altre mattine prendo la macchina e da casa vado in ufficio.
Dal finestrino osservo Padova, nelle sue periferie e nella zona industriale, e come spesso accade mi sento frustrato e tradito per il modo sfacciato in cui il caustico sviluppo urbano bistratti la bellezza e la natura del luogo. Nel vuoto normativo e pianificatorio, sembra che ogni costruttore abbia ostinatamente fatto di testa sua, di modo frettoloso e dilettantistico: focalizzato sul proprio ombelico non si è accorto che al di là della recinzione della propria villa o fabbrica prendeva forma un amalgama disarmonico, con il verde costretto progressivamente a indietreggiare negli spazi di risulta.

Questa bruttura ferisce la mia sensibilità. Mi viene da pensare al sottosviluppo, concetto che richiama un sentimento di vergogna, quella di essere anch’io parte di questo territorio e di questa comunità. E’ la stessa vergogna che percepisco nel cuore di molta della “mia” gente, quei veneti che con la testa bassa lavorano sempre, quasi volessero infliggersi una punizione per il loro sentirsi inadeguati, intrappolati in una condizione priva di cultura e di generosità. Sembra quindi che l’onta della povertà rurale permanga nonostante il boom economico, manifestandosi in quella iperlaboriosità ansiosa, aggressiva e incolta che contribuisce a distruggere il territorio e le persone. Il denaro sembra agire solo da palliativo per una malattia dell’animo piu’ profonda, una ferita che difficilmente la facciata della ricchezza materiale può riuscire a colmare.

E’ evidente che il Veneto, e forse come il Veneto altre zone d’Italia, non sia solo questo: gli aspetti positivi restano predominanti; attitudini molto diverse convivono dentro lo stesso territorio; e anche laddove le cose non vanno per il verso giusto io credo che esista molta più buona fede di quanto non siamo abituati a pensare (piuttosto, sono l’ignoranza e la chiusura in noi stessi che ci giocano sempre brutti scherzi). Ritengo però necessario far emergere il problema, parlarne, prenderne consapevolezza, comprenderlo a fondo per curarlo. Altrimenti è inevitabile che continueremo a trovarci di fronte alle sue conseguenze negative, finendo per alimentare ulteriormente la percezione negativa che abbiamo di noi e fare a nostra volta sentire altri gruppi di persone inferiori.
I complessi di inferiorità e di brutto anatroccolo ci renderanno veramente tali; il sentirci cani bastonati ci renderà effettivamente aggressivi; la nostra persistente percezione di scarsità ci creerà nuovi deficit reali nonostante qualsiasi evidente abbondanza ci si dipani di fronte agli occhi. Così come i sociologici parlano di profezie che si auto-adempiono, gli esperti di pensiero positivo sostengono che per cambiare autenticamente le cose in meglio è anzitutto necessario cambiare quello che pensiamo di noi stessi. Se ci amiamo, la vita ci amerà.

E’ necessario quindi comprendere come si origino i sensi di inferiorità, tutti i modi in cui può succedere che un gruppo di persone faccia sentire altri gruppi di persone inferiori. Viene da pensare a quanta durezza usino le istituzioni economiche, educative e religiose dell’era moderna – le aziende, le scuole, le chiese – nel giudicare chi per qualsiasi motivo non segue la “retta via” che viene proposta. Ancora oggi, nel 2015, nel sistema scolastico italiano si usano “interrogazioni” pubbliche per giudicare il grado in cui uno studente ha memorizzato contenuti che da decenni non vengono più messi criticamente al vaglio. Lo studente che rimane indietro viene pubblicamente deriso, e non si rendiamo conto che quella vergogna lo segnerà, probabilmente, per tutta la vita. Allo stesso modo i media, sottilmente e subdolamente, propongono giudizi e classifiche a tutti i livelli, a tal punto da rendere normale il fatto che l’inglese The Economist possa arrogarsi il diritto a diffondere in tutto il mondo copertine che dipingono l’Italia come “Il vero malato d’Europa” e la Nigeria come “Il più importante fallimento dell’Africa”.

Dov’è la comprensione reale delle cose? Dov’è, in ultima istanza, l’amore?
Possiamo spiegare molte cose come risultato diretto dell’assenza di amore, in tutti i paesi del mondo: penso al masochismo dei giapponesi, alla paranoia degli americani, alla chiusura a riccio delle comunità cinesi, al risentimento dei russi, al fanatismo rabbioso degli islamici. Credo quindi sia arrivato il momento di recuperare una visione più umana e realistica del mondo, una visione di buon senso che possa farci capire che solo il coraggio e l’incoraggiamento possono realmente aiutarci a credere in noi stessi, e quindi a crescere. La vergogna e la paura non sono che un’arma di auto-sabotaggio, uno strumento che ci allontana dal fare le cose e stare al mondo in quella giusta misura a cui tutti, attraverso il cuore, possiamo accedere.

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