Filippo Dal Fiore

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Una grande ossessione

October 23, 2009
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La rotta e’ sempre la stessa. Entro, tiro dritto fino all’ultimo corridoio e inizio il mio “grocery shopping” dalla sezione dei latticini, per poi spostarmi ai succhi di frutta e quindi al reparto “food from the world”.
Le mie prime battaglie allo Star Supermarket di Cambridge (Massachusetts) cominciano dagli yogurt: rovisto gli scaffali in tutte le direzioni, perche’ non riesco a trovare dei vasetti che consentano di essere finiti una volta aperti. Vanno tutti oltre le mie capacita’: troppo grandi. Poi scorro i prezzi: tutti sistematicamente piu’ alti dei loro cugini vasetti residenti nei supermercati italiani. Yogurt piu’ grande, prezzo piu’ grande: non fa una piega.

Sembra banale, ma ho l’impressione che la storia dello yogurt la dica lunga rispetto a quella che potrei considerare un’ ossessione della moderna societa’ globalizzata: la grandezza. Il trend e’ abbastanza chiaro, in molta parte dei settori economici: quando possibile, invece di semplici casette a due piani si costruiscono grattacieli; invece di normali automobili, si propongono SUV; invece di pagare le singole telefonate, si ipotizzano rate fisse di “traffico illimitato”.
Non importa se tutta questa grandezza non ci serve, verra’ sotto-utilizzata o esaurira’ le risorse del pianeta prima che queste possano rigenerarsi. La grandezza ha una giustificazione commerciale: consente al produttore di “scalare” i costi (quindi di risparmiare in termini relativi) e rappresenta la ragione piu’ ovvia per aumentare il prezzo.

La ragione commerciale pero’ non basta. Ci dovra’ essere qualcuno disposto a spendere di piu’ per aquistare questi prodotti piu’ grandi. Negli Stati Uniti, il problema e’ facilmente risolto: le persone non hanno abbastanza soldi? Glieli prestiamo noi!
Sembra che sia stato questo l’assunto alla base delle politiche della crescita (non a caso) promosse dalla Banca Centrale Americana e dalle banche in generale: tassi d’interesse bassi, quindi prestiti e mutui molto convenienti; carte di credito spedite direttamente a casa delle persone, che ne finiscono per collezionare molteplici e usano le une per ripagare i debiti accumulati con le altre.

Dove non arrivano gli incentivi finanziari, gioca a supporto una cultura della grandezza.
Reduce dal suo primo viaggio in Europa, un caro amico peruviano rifugiato politico a Boston da molti anni mi racconta: “In Germania, mi ha colpito la citta’ di Costanza, sul lago omonimo. E’ popolata da persone ricchissime – facile a dirlo a giudicare dalle automobili e dai ristoranti presenti – ma anche disposte a vivere nelle case alte e strette del borgo storico. In America la prima cosa a cui si pensa appena si fa qualche soldo e’ … GOING BIG: casa piu’ grande, macchina piu’ grande, tutto piu’ grande.”

In un mercato globale in cui il valore delle aziende e dei paesi si misura in termini prettamente quantitativi (fatturato, valore dei titoli azionari, PIL) , ancora prima che un’ossessione la grandezza sembra essere una necessita’. A valle del crollo finanziario globale dello scorso anno, l’amministratore delegato di Bank of America, Ken Lewis, rivela all’emittente PBS che “nell’economia di oggi o diventi sempre piu’ grande o muori”.
D’altronde, e’ quello che gli economisti italiani da ormai molti anni continuano a ripetere alle nostre Piccole e Medie Imprese (PMI): se non andate oltre il modello di gestione famigliare su piccola scala siete destinate a sparire.

Anche se questo non vale per tutti i settori – piu’ la tua conoscenza e’ specializzata e di alto profilo, meno e’ sostituibile -, il trend verso la grandezza sembra avere facile giustificazione: nell’economia globale dominata dalla finanza la quantita’ conta piu’ della qualita’.
Prima ci si preoccupa di fare piu’ soldi possibile (massimizzare l’investimento), poi, eventualmente, di come si e’ arrivati a farli. Machiavelli docet.
Quindi, come possono artigiani e PMI competere con le multinazionali, maestre di economie di scala e dominatrici di media di massa?

Fino a qui, il quadro puo’ apparire solo negativo, soprattutto agli occhi di un italiano e di un abitante del vecchio continente. Che fine faranno l’artigiano e l’impresa-famiglia? Tutti coloro che il proprio lavoro lo fanno con passione ed amore prima ancora che per denaro? Tutti quelli che di diventare grandi proprio non ne vogliono sapere?

Seppure spietato e in urgente necessita’ di modifiche strutturali, il sistema attuale non manca di offrire il buono e il bello. La conoscenza delle multinazionali si e’ talmente evoluta negli ultimi decenni, che esse stesse sono diventate i nuovi gioelli del mondo produttivo, in cui il lavoratore si misura non solo con le ultime tecnologie e pratiche, ma altre con un ambiente multiculturale aperto e collaborativo. Anche se il loro obiettivo ultimo e’ la quantita’, non vuol dire che al proprio interno la qualita’ non possa essere perseguita a molteplici livelli. Al contrario, deve esserlo, per garantirsi di produrre sempre piu’.

E’ cosi’ che le multinazionali possono diventare ambienti di lavoro straordinari, soprattutto per i lavori piu’ specializzati, piu’ scolarizzati e per tutti coloro che lavorano con la testa e con il computer. Per chi lavora con le mani, la realta’ e’ probabilmente molto diversa, come spesso riportano le organizzazioni umanitarie contro lo sfruttamento dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo.

Insomma sembra che la storia della grandezza sia una storia grande, una di quelle che ti permette di tagliare tutti i problemi in un colpo solo. E’ una storia di ambizione e avidita’ umane, ma rivela anche la capacita’ dell’uomo di “puntare in grande” e in un certo modo il suo amore per l’abbondanza del mondo.
E’ una storia che e’ necessario contestualizzare in questo momento storico: crescita esponenziale della popolazione mondiale (US Census Bureau stima che domani sabato saremo 6 milioni in piu’ di oggi venerdi’); dominio della mentalita’ anglosassone, basata sui fatti e sul presente, nel bene e nel male; trend ecologicamente insostenibile, perche’ procediamo nel progresso troppo veloci e senza visione di lungo termine.

Sembra che gli uomini e a maggior ragione le societa’ umane siano esseri fondalmente conservatori: per cambiare rotta ci vuole un grande trauma. C’e’ chi attende rivoluzioni in Cina, chi disastri climatici in occidente.
Senza alcun malaugurio, speriamo di imparare dai nostri errori, riuscendo a trovare la forza di perdonarceli. Prima ancora che gli uni con gli altri, verso l’imperfetta ma pur straordinaria specie umana.

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