Filippo Dal Fiore

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Sul formalismo, la complessita’ e gli olandesi

January 4, 2011
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Rifletto su alcune problematicita’ del mondo della ricerca scientifica, cercando di trarre insegnamento da una recente disavventura personale. Traggo spunto dalle critiche mosse verso la mia dissertazione di PhD da parte di due valutatori esterni chiamati a dare il loro nulla osta alla pubblica difesa del lavoro.

La loro critica principale muove dal fatto che il manoscritto raccoglie pezzi di lavoro molto differenti tra di loro, e risulta quindi poco coerente nel suo complesso e incapace di trarre conclusioni univoche sull’oggetto di studio. Tre casi di studio sono stati utilizzati per quantificare l’impatto delle nuove tecnologie mobili (come i cellulari che ci consentono di essere sempre raggiungibili e connessi con l’informazione) sulla mobilita’ quotidiana delle persone. Non si e’ pero’ riuscito a concludere molto di piu’ di un generico “la mobilita’ umana si fa piu’ destrutturata, imprevedibile e complessa”.

Tale lettura semplicistica mi offre l’occasione di ragionare sulla questione della coerenza interna e dell’univocita’ interpretativa del lavoro scientifico. Lavorando per molto tempo in Olanda, mi sono reso conto di quanto i ricercatori abbiano a cuore tale problema formale, al punto che a volte mi sembra che si stia piu’ attenti a fare le cose bene, piuttosto che a fare le cose che e’ veramente necessario fare. In altre parole ci si domanda poco “ha senso quello che sto facendo?”, ma piuttosto “sto facendolo alla perfezione?”. Tale approccio si potrebbe definire formalismo – conta piu’ la forma della sostanza – e richiederebbe un’attitudine burocratica, piuttosto che critica e creativa.

Le conseguenze di tale formalismo sul modo di concepire e condurre la ricerca scientifica sono importanti: se la conoscenza non e’ frutto di un metodo univoco e coerente scelto per generarla, e’ come se non esistesse e va rimossa, anche se risultato delle migliori intuizioni del mondo. Lo scopo stesso della ricerca e’ quello di “far quadrare” le cose, piuttosto che rivelarle nella loro complessita’ e contraddizioni.
La complessita’ dei fenomeni non e’ vista come lo stato naturale delle cose del mondo, ma piuttosto come un nemico da combattere: se alla fine della tua investigazione scientifica l’oggetto di studio ti appare ancora piu’ complesso, allora vuol dire che non ti sei applicato abbastanza nel metodo scientifico. Significa che non hai “ridotto” abbastanza l’oggetto di studio, ad un insieme di componenti e variabili inequivocamente distinguibili tra di loro. Se alla fine dell’iter di ricerca non riesci a spiegare le cose in modo univoco, allora significa che hai consentito al tuo argomento di rimanere troppo generico, e quindi di racchiuderne molteplici altri al suo interno, quelli che ti confondono le idee.

Ho la sensazione di arrivare a cogliere l’essenza del tanto controverso “riduzionismo scientifico”. Come capita spesso, il suo principale elemento di forza sembra anche esserne il piu’ debole: riducendo il piu’ possibile l’oggetto di osservazione e imponendo la coerenza interna, il ricercatore riesce a produrre conoscenza piu’ oggettiva, pulita ed elegante, ma al prezzo di rimanere imbottigliato in una prospettiva talmente limitata da diventare eventualmente irrilevante, distante dal buon senso comune centrato sulla sintesi e sull’intuizione, nonche’ ignorante dei molteplici altri legittimi aspetti che compongono i fenomeni del mondo.

Sotto questo profilo, l’aspetto che considero piu’ problematico non e’ tanto quello dell’applicare il riduzionismo scientifico (insostituibile per comprendere le cose del mondo), quanto piuttosto il considerare invalida tutta la conoscenza prodotta al di fuori delle sue assunzioni. Il problema nasce quando il riduzionismo viene elevato a ideologia; non a caso, si tratta di un terreno di battaglia per i tanti scienziati che invece praticano l’approccio della complessita’ e della multi-disciplinarieta’, puntando al riconoscimento e alla sintesi trasversale di quanti piu’ aspetti possibile di uno stesso fenomeno. Stando bene attenti a non ingabbiare una conoscenza che di per se’ non ha confini, questi ricercatori non cancellano le contraddizioni ma piuttosto le riconoscono e cercano di farne tesoro.

Potrei sbagliarmi, ma e’ mia impressione che in Olanda l’approccio riduzionistico sia talmente forte da permeare la cultura e attitudine mentale dell’intera popolazione, non solo degli addetti ai lavori. Va ricordato che i Paesi Bassi sono un paese completamente artificiale: e’ solo grazie alla scienza e all’ingegneria che questo territorio e’ stato sottratto al mare, per poi essere pianificato e costruito in modo scientifico e ultra-rigoroso, per razionalizzare ogni singolo spazio cosi’ faticosamente guadagnato. Ingegneri e scienziati nel loro “DNA”, gli olandesi mi hanno insegnato un sacro rispetto verso il dato oggettivo e l’analisi empirica. Allo stesso tempo, pero’, mi sono reso conto di quanto il loro formalismo si possa tradurre in dogmatismo e chiusura mentale. La visione formalistica del mondo concede poco spazio ai compromessi e alle eccezioni, cosi’ come al dibattito e alla critica, perche’ equivale a una costante ricerca a far quadrare le cose, rileggendo a proprio modo le contraddizioni per sfuggire all’ingestibilita’. Politicamente, tale attitudine si tradurrebbe in fiducia verso la classe dirigente: mi e’ stato raccontato che il pensiero dominante sembra essere quello per cui “se i politici fanno e scelgono certe cose, avranno le loro ragioni”; se sono al vertice una ragione c’e’ (il sistema e’ meritocratico e fondato sul livello educativo), quindi ci si puo’ fidare di loro. Possiamo dormire sonni tranquilli, perche’ tutto quadra.

La mia formazione multidisciplinare mi ricorda che la questione possa in realta’ essere molto piu’ complessa di come la sto presentando in questo articolo. In fin dei conti, per capire completamente l’Olanda e il riduzionismo scientifico dovrei prendere in considerazione per lo meno l’etica protestante, lo spirito mercantile, e chissa’ quante altre correnti di pensiero che nel tempo si sono stratificate a produrre la realta’ sociale che mi trovo oggi ad osservare.
In ogni caso, non auguro a nessuno di voi di imbarcarsi nel tentativo di far cambiare opinione a molti olandesi. Sto imparando faticosamente a rinunciarci, ma credo sia giusto cosi’. E’ necessario invece costruire nuovi ponti tra il mondo della scienza e quello del buon senso comune, per amore unico della verita’ e della conoscenza.

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