Filippo Dal Fiore

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No, we can’t

November 24, 2010

No, we can’t. Il voto del mid-term riporta l’idealista Obama con i piedi per terra.
Credevi che si potesse cambiare l’America? Beh, questo perche’ non conoscevi abbastanza l’America, per sapere che il potere in quel paese dipende piu’ dai gruppi di interesse e dal “big money” di quanto si possa immaginare. Credevi che si potesse cambiare il mondo? Beh, questo perche’ non conoscevi abbastanza l’economia globalizzata, la cui evoluzione e governabilita’ vanno ben oltre quello che puo’ fare un presidente degli Stati Uniti.

Seguendo una tale ipotesi di sintesi e semplificazione, si potrebbe concludere che Obama abbia fallito nella sua missione. Lui stesso ha dichiarato di assumersi le responsabilita’ di quello che e’ andato storto. Non sono di certo mancati gli errori di tattica politica (inevitabili per un presidente outsider alla sua prima esperienza?), ma a mio avviso Obama ha fatto “di piu’ e forse meglio” di quanto gli si riconosca in questo momento. Per affermare questo e’ necessario assegnare importanza a due fatti che hanno caratterizzato questi suoi primi due anni di presidenza:

- la priorita’ morale e assoluta assegnata alla riforma del sistema sanitario;
- il fatto che, considerata la congiuntura economica globale, fosse anzitutto necessario non perdere posti di lavoro, prima ancora di pensare a crearne di nuovi;

Chi e’ disposto a argomentare che la riforma sanitaria fosse cosa dovuta, nonche’ che la crisi finanziaria avrebbe potuto risolversi in modi ben peggiori, sara’ probabilmente anche disposto a riconoscere che l’amministrazione Obama ha operato, tutto sommato, bene. Certo, “truth lies in details”, la verita’ risiede nei dettagli, e se ci addentrassimo nei dettagli tecnici di come i due grandi interventi, nella finanza e nella sanita’, sono stati gestiti e si sono risolti, scopriremmo probabilmente che alcune cose sono andate storte e altrettante sono state le conseguenze indesiderate. I bonus intascati dai banchieri coinvolti nella crisi ne sono forse il principale esempio.

Una delle “tragedie” piu’ grandi del governo Obama e’ quella di avere investito tantissimi soldi pubblici in interventi che non hanno generato quella che si e’ dimostrata essere la “moneta” piu’ importante per il consenso degli elettori: la creazione di posti di lavoro. L’eredita’ e la congiuntura da cui e’ partito erano tra i piu’ difficili: due guerre aperte, Afghanistan e Irak; un crack finanziario senza precedenti, delle banche americane e dell’intero sistema globale; la crisi dell’industria automobilistica, con suo epicentro nella Detroit della General Motor e della Crysler; la continua conquista di quote del mercato globale da parte dei paesi emergenti, capitanati dalla Cina; l’avanzata di Internet e di molte altre nuove tecnologie, promotrici di efficienza e quindi distruttrici di posti di lavoro (perlomeno di un certo tipo di posti di lavoro impiegatizio).

Gli investimenti dell’amministrazione Obama nella finanza, nelle guerre e nell’industria automobilistica non hanno portato alla creazione di molti nuovi posti di lavoro, ma ne hanno pero’ salvati tanti. Il compito della creazione di lavoro e’ stato affidato allo stimulus plan, strumento economico keynesiano che sta plausibilmente generando opportunita’ di impiego nei settori del futuro – energia, ambiente, scienza, formazione, infrastrutture, servizi sociali – ma non contrasta la discesa, esacerbata dai processi di delocalizzazione industriale, dei settori del presente.

La tragedia di Obama ne contiene un’altra al suo interno: non solo ha investito una montagna di soldi pubblici senza un equivalente ritorno di posti di lavoro, ma tali soldi non ce li aveva e se li e’ fatti prestare dai mercati internazionali o stampare (letteralmente) dalla FED. Ha incrementato quel gia’ enorme debito pubblico che andranno a ereditare le future amministrazioni e generazioni di americani, impoverendo l’America sul lungo termine e forse accelerandone l’inevitabile declino (prima o poi il conto arriva a chi ha vissuto al di sopra dei propri mezzi?)

Il punto e’: quali alternative c’erano? Come sarebbero andate a finire le cose diversamente, senza la temporanea nazionalizzazione delle banche e lo stimolo economico? A posteriori, e’ troppo facile per i repubblicani affermare che l’approccio del big state, dello stato interventista in economia, e’ ideologicamente aberrante e va immediatamente abolito. Siete stati proprio voi, grandi banche e aziende, a richiedere quei soldi pubblici e a beneficiarne…

In ultima istanza, credo che la maggiore complicazione per l’amministrazione Obama sia la situazione completamente nuova da affrontare. Il mondo globalizzato continua a cambiare, giorno dopo giorno, ad una velocita’ inimmaginabile solo un paio di decenni fa: con l’aumento smisurato del numero degli attori economici, crescono anche il grado e le forme di interdipendenza tra essi. I “silver bullet” – le ricette facili radicate in una precisa scuola di pensiero – non funzionano piu’ come una volta: risolvi un problema da una parte e se ne genera uno nuovo da un’altra, di maniera inaspettata.
Sono tempi duri in America. Lo sono per Obama, ma credo lo sarebbero per chiunque altro si trovasse al suo posto.

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