Filippo Dal Fiore

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Mondo monopolio

June 5, 2012
google-monopoly

Finestre; mela; libro delle facce; io-telefono; io-tavoletta; cultura veloce; amazzone.
Vale a dire: Windows, Apple, Facebook, i-Phone, i-Pad, Wikipedia, Amazon. Parole molto concrete che utilizziamo tutti i giorni, riferendoci a nuove tecnologie frutto dell’inventiva e del pragmatismo americani.
E anche frutto della globalizzazione, che ha spianato loro la strada per conquistare buona parte dei mercati del mondo.

Trovo su Wikipedia la lista delle 186 aziende piu’ grandi del mondo per quantita’ di revenue lorde. Ho un momento di smarrimento nel tradurre “revenue” in italiano, devo andare su Google e digitare “revenue italiano traduzione” (si dice entrate, lo sapevo). Conto ad occhio 53 aziende americane e 71 aziende europee, nonostante il frastuono mediatico sul declino economico dell’occidente e l’inarrestabile ascesa dei paesi emergenti. Curioso poi nel ranking delle universita’ mondiali considerato piu’ autorevole, l’Academic Ranking of World Universities: 29 dei primi 40 istituti sono statunitensi.

Mi avventuro alla ricerca delle cause di tali concentrazioni di ricchezza e di conoscenza. Se il mondo fosse considerato un unico mercato (e lo e’ sempre di piu’), ci troveremmo probabilmente di fronte a condizioni di monopolio, ovvero scarsa concorrenza nella fornitura dei beni e dei servizi. Situazione piuttosto paradossale se consideriamo che i monopoli dovrebbero essere considerati un nemico da combattere da parte degli economisti pro-globalizzazione. Wikipedia, questa volta in italiano, mi propone 4 possibili motivi all’origine dei monopoli:

- esclusivita’ nell’accesso alle materie prime e ai fattori di produzione.
Penso alle universita’ americane, che con grande merito attraggono i ricercatori piu’ produttivi di tutto il mondo;
- economie di scala e di scopo, attraverso cui le imprese sono in grado di aumentare i volumi ed estendersi a prodotti contigui senza un proporzionale aumento dei costi.
Mi viene in mente Amazon, che cominciando dalla rivendita on-line dei libri in USA, ha poi espanso le proprie rivendite a molti altri paesi del mondo, aggiungendo anche CD, DVD e molto altro;
- brevetti, ovvero concessioni di esclusivita’ nella commercializzazione delle invenzioni.
Penso al conteso accordo internazionale “Trips” del 1994, che ha facilitato il rispetto dei brevetti nei paesi del mondo aderenti all’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Penso all’inarrestabile crescita del numero di brevetti concesso dall’autorita’ USA competente, nonche’ al ruolo sempre piu’ importante giocato dai brevetti nelle strategie industriali delle multinazionali;
- licenze governative, per lo sfruttamento dei beni pubblici.
Penso a quelle che ciascun paese concede agli operatori televisivi o radiofonici, attraverso la cessione delle frequenze di trasmissione.

Ce ne sono altre, ma mi limito ad aggiungere una sola ulteriore ragione a monte dei monopoli:

- fusioni o acquisizioni industriali.
Penso ai giganti Facebook e Google e alla loro facilita’ di assorbimento delle start-up piu’ innovative nei settori digitali. E non solo delle start-up: si al recente acquisto da parte di Google di Motorola Mobility, motivato anche dal fatto che quest’ultima fosse in possesso di un portafoglio brevetti che consente ora a Google di competere nei settori “mobile”.

Discorso sulle licenze governative a parte, la globalizzazione in atto sembra quindi accelerare tutti gli altri fattori propedeutici i monopoli.
E’ anche merito di Internet e della convergenza dei settori tecnologici: la facilita’ di integrazione di prodotti diversi fatti pero’ tutti di bits facilita le acquisizioni e le espansioni di scopo; la presenza sul web agevola l’accesso a una platea globale di consumatori. L’economia globale sta diventano troppo concentrata? L’Unione Europea crede di si’, per lo meno a  giudicare dalle battaglie legali che sta conducendo contro i nuovi monopolisti d’oltreoceano. Si pensi a quella attuale contro Google, che provvede all’85% delle ricerche on-line degli Europei. L’India e molti paesi in via di sviluppo, invece, se la prendono con le multinazionali farmaceutiche: i loro brevetti impediscono la nascita di concorrenti locali per la fornitura di medicinali fondamentali. In USA la percezione del problema sembra diversa: negli ultimi decenni la de-regolamentazione generale dell’economia sembra avere favorito i processi di concentrazione, cavalcando la filosofia meritocratica secondo cui devono esserci meno regole possibile affinche’ vinca chi e’ veramente piu’ forte.

Un’importante argomentazione a favore delle multinazionali e’ che i monopoli di cui esse beneficiano si traducono in vantaggio per i consumatori. Grande scala e grandi profitti sarebbero garanzia di qualita’, professionalita’ e sufficienti risorse per le innovazioni e progetti piu’ ambiziosi. Questo puo’ essere anche vero (posti i necessari distinguo), ma resta il fatto che un sistema di questo tipo possa “prosciugare” il mercato del lavoro globale. Se tutto il lavoro da fare nel mondo (e il profitto che ne deriva) si concentra nelle mani di un piccolo numero di multinazionali, come si puo’ garantire la creazione in massa di posti di lavoro per una popolazione mondiale che ha ormai raggiunto i 7 miliardi?
Il problema e’ esacerbato dal fatto che nei nuovi settori digitali e dell’hi-tech, il lavoro viene fatto  soprattutto dagli algoritmi piuttosto che dalle persone. E’ impressionante costatare che un’azienda come Facebook che e’ appena stata quotata in borsa con un valore stimato di 104 miliardi di dollari, dia lavoro a poco piu’ di 2000 persone.

Credo che di queste dinamiche si legga troppo poco nella stampa e nelle pubblicazioni specialistiche. Al contrario, forse troppi economisti si occupano delle economie nazionali in competizione tra di loro, privilegiando la chiave di lettura del PIL. Molta microeconomia si concentra sull’analisi della competitivita’ delle imprese sui mercati dei beni e dei capitali, piu’ raramente delle ripercussioni dei loro comportamenti sul mercato globale del lavoro. I monopoli vengono ancora troppo spesso problematizzati sul piano nazionale, piuttosto che globale, con la situazione contraddittoria per cui gli stessi economisti liberisti che promuovono lo smantellamento dei monopoli nazionali pubblici, tollerano o addirittura sostengono i monopoli globali privati.

Sono poi da considerare le conseguenze sul piano della produzione culturale. Nella sua “corsa disperata” per la saturazione del mercato (cosi’ la definisce un blog della rete), la Sky Television di Robert Murdoch ha finito per schiacciare i produttori indipendenti. In un’economia globale di questo tipo gli operatori economici piccoli e alternativi possono trovarsi di fronte a una scelta difficile: o si allineano con le strategie industriali dei grandi (puntando per esempio ad essere acquisiti o partecipati), o rischiano di non trovare alcuno spazio di mercato. Lo stesso dilemma si pone a molte start-up e imprese di successo, in tutti i settori: stando ai numeri recentemente proposti dall’Economist, sempre piu’ si preferisce farsi acquisire da un grande gruppo piuttosto che la quotarsi in borsa come azienda indipendente.

Ritengo infine che occorra rimettere in discussione il concetto di monopolio cosi’ come e’ stato utilizzato finora. Se continuiamo ad associare prezzi alti e qualita’ bassa come principali sintomi negativi dei monopoli, potremmo non accorgerci piu’ di loro. Se i  suoi brevetti escludono i concorrenti, il monopolista Google non puo’ che offrire una qualita’ a prima vista imbattibile. Oltretutto si tratta di un servizio gratuito per i consumatori, quindi perche’ mai dovrebbe essere un problema?
I problemi a mio avviso vengono alla luce quando allarghiamo il focus delle nostre considerazioni economiche. Non dimenticandoci che l’economia e le persone hanno anche bisogno di lavoro, oltre che di consumo. Considerando le singole decisioni micro-economiche in relazione al macro-quadro economico globale, non solo come fini a se’ stesse.

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