Filippo Dal Fiore

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Angels of Harlem

April 26, 2009 No Comments»
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Domenica di Pasqua 2009.
Siamo a New York e decidiamo di accogliere l’invito di due amici: vediamoci alle 10.30 alla Convent Baptist church, 145esima e Convent, Harlem.
Siamo puntuali, la messa inizia le 11 ma la chiesa e’ gia’ gremita. Siamo bianchi e veniamo indirizzati verso l’alto, tribuna di destra, dove troviamo posto accanto a un gruppo di giovani, probabilmente europei, in maglietta e scarpe da ginnastica.

La posizione e’ privilegiata: le navate centrale e di sinistra, cosi’ come il grande altare con un semicerchio di posti rialzati, sono perfettamente visibili. Assistiamo all’arrivo degli ospiti: famiglie allargate di colore, vestite a festa, si fanno accompagnare al loro posto dalle damigelle, anch’esse di colore e di una certa eta’, vestite completamente di bianco, guanti e cappelli compresi. Il panorama e’ una festa di colori: gli abiti delle donne risplendono di arancio, azzurro, verde e rosso; cappelli e turbanti meritano uno sguardo attento, uno a uno, da quanto sono belli e originali; uomini e bambini in doppiopetto siedono gli uni accanto agli altri, indirizzando sguardi orgogliosi e modesti allo stesso tempo. Magari devono ancora saldare il debito per le migliaia e migliaia di dollari che indossano, ma l’importante e’ che oggi siano all’altezza dell’evento. Ci fanno sfigurare, a noi bianchi, ora ci appare fin troppo chiaro il perche’ ci abbiano spedito su.

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Fine del lavoro?

April 20, 2009 No Comments»
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Torno a scrivere sulla questione della crescita.
Una crescita che ci viene presentata ogni giorno come realta’ ineluttabile: crescita costante della popolazione mondiale; crescita delle attivita’ economiche, misurate attraverso il PIL; crescita dell’urbanizzazione. Tale crescita mette alla prova la sostenibilita’ e vivibilita’ del mondo, nonche’ le singole identita’ culturali: inquinamento, cambiamenti climatici, esaurimento delle aree verdi e della vita nei mari, emigrazioni di massa.

Forza motrice di ogni tipo di crescita e’ il lavoro: si decide di avere tanti figli anche perche’ li si considera potenziale forza lavoro; le attivita’ economiche si espandono grazie al lavoro; intere popolazioni trasmigrano dalle campagne alle citta’ in cerca di lavoro. Gli uomini rincorrono il lavoro e cosi’ facendo consumano le risorse a loro disposizione, senza che a queste venga lasciato abbastanza tempo per rigenerarsi. Comprensibile, mi dico, allorquando il lavoro e’ condizione di sopravvivenza per alcuni e di accesso a migliori opportunita’ per altri.

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Ritorno al futuro? Appunto da Seoul

April 4, 2009 No Comments»
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Sostituendo il mio capo al MIT, la scorsa settimana sono volato a Seoul, per discutere una possibile partnership che vedrebbe le nostre tecnologie applicate alla progettazione di una serie di citta’ futuristiche che verranno costruite nei prossimi anni in Corea del Sud. In particolare, una mia presentazione aveva lo scopo di essere di ispirazione per un concorso di idee a cui partecipavano la bellezza di 1400 gruppi di studenti (di cui 1000 coreani e 400 da tutto il resto del mondo). E’ stata data loro carta bianca per inventare da zero quella che sara’ Songdo International City, il nuovo distretto del business della metropoli Incheon (2.8 milioni di abitanti), a due passi dall’aeroporto internazionale di Seoul.

I progetti vincitori verranno esposti alla Incheon Global Fair 2009, il cui scopo e’ quello di presentare la nuova Incheon al mondo e attrarre le multinazionali e i professionisti stranieri che dovrebbero insediarsi in questo lembo di terra sottratto al mare. Un asso nella manica per la nuova Songdo sara’ l’essere “Free Economic Zone”, con seducenti agevolazioni a livello di tassazione per le aziende che decideranno di emigrare qui. La citta’ inventata dagli studenti dovra’ rispettare tre criteri: essere una “U-City”, una “Eco-City” e una “Community-City”, ovvero incorporare le ultime tecnologie e tecniche in ambito di sensoristica, comunicazione e sostenibilita’ ambientale, nonche’ promuovere l’interazione sociale tra gli abitanti.

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Crescita, ma a che prezzo?

April 2, 2009 No Comments»
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Chiunque volesse fare una cronistoria dei principali temi che hanno dominato l’agenda mediatica e politica globale degli ultimi 2 anni, si troverebbe difronte a questa sequenza di eventi epocali: surriscaldamento globale; passaggio di consegne da Bush a Obama; tracollo della finanza.
Allo stesso tempo probabilmente registrerebbe grande puntualita’ nel sostituire un tema all’altro, quasi si trattasse di un oggetto consunto. In particolare, perlomeno nei media del “mainstream”, la crisi della finanza sembra avere oscurato la crisi climatica, a tal punto che non ho ancora sentito nessuno sbilanciarsi nel tracciare un collegamento che ai miei occhi sembra ovvio: la recessione e’ la migliore soluzione contro la crisi climatica. Se l’economia globale si contrae, si contraggono le emissioni, perche’ si produce meno, si trasporta meno, ci si muove di meno, si consuma e si spreca meno. Probabilmente, i progressi tecnologici e nei cambiamenti comportamentali dovranno fare ancora molta strada per ottenere un simile risultato di sostenibilita’ ambientale.

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America: centro del mondo, fuori dal mondo?

March 22, 2009 No Comments»
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In America è come se ti trovassi di fronte a uno strano paradosso.
Hai sicuramente la sensazione di essere “al centro del mondo”, non solo perché vedi e incontri persone di qualsiasi razza e nazionalità d’origine, quanto anche perché ragioni sempre con una prospettiva e un raggio d’azioni globali. L’umanità intera deve beneficiare del tuo lavoro per il suo bene e progresso. Inoltre, grazie alla globalizzazione, le scelte politiche ed economiche degli Stati Uniti fanno sentire il loro influsso in tutti i paesi del mondo.
Allo stesso tempo però ti senti “fuori dal mondo”, nel senso che percepisci che il paese in cui stai vivendo abbia un’idea un po’confusa o, meglio, iper-semplificata, di cosa c’è “out there”.

In America si ragiona spesso per macro-raggruppamenti: i latini, gli europei, gli asiatici; c’è quindi la speranza e la pretesa di fare del bene per l’umanità intera, senza sapere molto dell’incredibile varietà culturale che la compone. Gli americani pensano di conoscere le culture del mondo anche perché queste stesse culture sono rappresentate all’interno dei confini dell’America stessa, attraverso quelli che potrebbero essere definiti degli avamposti.

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